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4. MARIA FONTE SIGILLATA

Papa Francesco conclude il numero 241 dell’Enciclica Laudato Sì, dedicato interamente alla cura di Maria verso il creato, invitandoci a chiedere il suo aiuto per imparare «a guardare questo mondo con occhi più sapienti». Gli occhi sapienti di Maria, infatti, sanno riconoscere in ogni elemento della Creazione un segno dell’amore di Dio per noi. Vivere la conversione ecologica significa, prima di tutto, diventare capaci di questo sguardo, a partire dal quale possiamo riconoscere nel rispetto e nella cura dell’ambiente e del prossimo la chiamata fondamentale che Dio rivolge ad ognuna delle sue creature.


Il primo elemento della Creazione su cui vogliamo provare a posare, insieme a Maria, uno sguardo sapiente è l’acqua. Il primo racconto della Creazione (Gen 1), presenta l’universo prima dell’atto creatore di Dio come una massa informe e deserta, avvolta dalle tenebre e ricoperta dalle acque primordiali. In questo caos primordiale, Dio interviene con la sua Parola creatrice, per dare alla luce il mondo, separando la terra asciutta dalle acque. Il caos diventa cosmos: ordine, armonia, luogo ospitale per la vita.


Il mondo abitabile che conosciamo, segnato dall’alternarsi di giorno e di notte e dallo scorrere delle stagioni, il mondo ricoperto di vegetazione e abitato da una moltitudine di esseri viventi, stava, prima della creazione, custodito nel pensiero e nel desiderio di Dio, così come un bambino ancora informe, appena concepito, riposa al buio immerso nel liquido amniotico, contenuto nel grembo della madre.


Questa analogia, tra la creazione dell’universo e la formazione del bimbo nel grembo materno è ripresa dalla Scrittura nel salmo 138, che descrive l’opera creatrice di Dio nei confronti di ogni essere umano: mentre cresce nel grembo materno, il bambino è al centro dell’universo ed è proprio nel grembo materno che avviene, secondo la Scrittura, il primo incontro tra l’essere umano e Dio (Ger. 1, 5).


La nascita, a causa dei rischi che comporta per la madre e per il bambino, è il primo atto di salvezza che Dio compie nei confronti di ogni creatura (Sal. 21, 10-11), tanto che la Scrittura si serve proprio di questa metafora per narrare il grande evento di liberazione che è stato l’Esodo: il passaggio del Mar Rosso, infatti, è una grande scena di nascita. Come una levatrice esperta, Dio libera il popolo dal pericolo di morte e lo introduce in una nuova vita (Es. 14). Lo trae dalle acque all’asciutto.


Ogni essere umano, purnon avendone memoria cosciente, è venuto dall’acqua, è cresciuto nell’acqua e si è nutrito nell’acqua del grembo fino a quando non è stato sufficientemente grande per poter respirare da solo. L’acqua è l’elemento che ha fa da mediazione, lungo tutto il tempo della gravidanza, tra il piccolo che cresce e la madre che si prende cura di lui. È forse anche per questo che il Cantico dei Cantici paragona il grembo della donna ad una fonte, alla quale l’uomo desidera tornare.


Al capitolo 4, in particolare, al versetto 14 l’amato canta la virtù della sua amata, definendola «fonte sigillata». Fin dal tempo dei Padri della Chiesa, i cristiani hanno visto in questo versetto una descrizione poetica della verginità feconda di Maria: il suo grembo è una «fonte sigillata», in quanto non ha accolto altri se non il bambino Gesù. La verginità cristiana, tuttavia, la verginità di Maria in modo particolare, non è chiusura. O meglio: non è soltanto rinuncia. E, infatti, se si continua nella lettura del Cantico, al versetto 15 si legge che da questa fontana chiusa, esce un’acqua che irrora una moltitudine di giardini e al capitolo 5, versetto 1, l’amato invita gli amici a saziarsi e dissetarsi della bellezza e della virtù dell’amata.


La fonte sigillata, dunque, non è una fonte da cui non si può bere, al contrario: è una fonte di acqua pura, non contaminata, la cui acqua non è riservata solo ad alcuni, ma è offerta a tutti. Pur non avendo avuto altri figli nella carne, oltre a Gesù, la maternità di Maria si è dilatata oltre i confini dello spazio e del tempo in cui è vissuta. La sua tenerezza, la sua saggezza, disseta tutti coloro che si affidano a Lei. Analogamente, il nostro modo di amare nelle relazioni quotidiane in famiglia, con gli amici, nelle comunità, richiede purezza di intenzione, rispetto grande, ma non chiusura: i doni di virtù e di grazia che abbiamo ricevuto da Dio, primo tra tutti il dono della vita stessa, ci sono dati per essere offerti al mondo!


Nella sua predicazione, Gesù stesso utilizza volentieri il simbolo dell’acqua, in modo particolare per indicare il dono dello Spirito e la grazia di rinascita che il credente riceve attraverso il Battesimo. Rifacendosi chiaramente alle parole con cui l’amato si riferisce all’amata nel Cantico, nel vangelo di Giovanni Gesù promette alla Samaritana una sorgente interiore d’acqua viva che zampilla per la vita eterna (Gv. 4, 14). Al capitolo 7, Gesù rinnova questa promessa rivolgendosi a tutti coloro che sono disposti ad ascoltarlo, mentre si trova nel Tempio affollato di gente venuta per la festa: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv. 7, 38). E subito l’evangelista commenta: «Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv. 7, 39).


Questa sottolineatura è importante, perché ci aiuta a comprendere due cose: la prima è che i discepoli stessi, pur vivendo a stretto contatto con Gesù, non sempre comprendevano i suoi gesti e le sue parole. Per comprendere che l’acqua viva promessa è lo Spirito, hanno dovuto attendere la resurrezione di Gesù: solo nella fede nuova della Pasqua, essi trovarono il coraggio di aprirsi finalmente al dono di una vita veramente nuova.

In secondo luogo, queste parole ci invitano a riconoscere nel dono dello Spirito la possibilità di condividere la comunione intima del Padre con Gesù, che si è manifestata pienamente nella Pasqua, quando un fiume d’acqua viva è sgorgato dal costato aperto del Figlio sulla croce (Gv 19,34). Quella ferita, inoltre, rimane aperta per sempre, perché sempre possiamo andare ad attingere, fino a che l’acqua non diventi anche in ognuno di noi sorgente viva per l’eternità.


Il secondo racconto della Creazione afferma che dal giardino dell’Eden escono quattro grandi fiumi, che irrigano il mondo intero (Gen 2,10). L’acqua, infatti è la vita. Senza acqua la terra inaridisce, le creature muoiono. Così, se Dio togliesse dal mondo il suo Spirito, appassirebbe ogni cosa. Ma Dio promette alle sue creature entrambe: l’acqua e lo Spirito. Eppure l’esperienza della scarsità e dell’inquinamento dell’acqua è sotto gli occhi di tutti e colpisce soprattutto i più poveri tra i poveri. Abbiamo ricevuto il dono della vita e riceviamo continuamente il dono dello Spirito: siamo responsabili, perché nessun vivente debba più morire di sete o di malattie causate dall’avvelenamento delle fonti. Chiediamo a Maria che ci aiuti a fare presto e bene, tutto ciò che è nelle nostre possibilità!


Linda Pocher FMA

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