ANCORA A COME AMORE
- Adma Don Bosco
- 19 ott 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Ovvio che ci sarebbero ancora tantissime cose da dire sull’amore. Ma per comprendere le fatiche d’oggi nel realizzare un progetto d’amore bello ed esigente come quello della famiglia, chiamata a unire e distinguere tutte le dimensioni dell’amore – amore passionale e fraterno, tenerezza nuziale e filiale, eros e agape – vi sono un paio di considerazioni che non possiamo omettere.
La riconciliazione della legge e dell’amore
Fra i capovolgimenti del nostro tempo in fatto d’amore spicca la sovversione del comandamento di Dio, che chiede di «amare Dio con tutto il cuore, l’anima, la mente e le forze, e il prossimo come se stessi» (Mc 12,30).
La prima cosa che balza all’occhio, e che il nostro tempo dimentica, è che l’amore è oggetto di comando e il senso del comando è l’amore. Come dire: «guarda, l’amore ha le sue leggi, e non provarci ad inventarle tu; però stai tranquillo, il cuore della legge è in fin dei conti l’amore»! qui di rivela un Dio sinceramente preoccupato di proteggere l’amore umano dalle forme della sua corruzione.
La dissociazione moderna fra legge e amore, invece, ha qualcosa di diabolico: apparentemente favorisce la spontaneità dell’amore, ma in realtà, rendendolo arbitrario e instabile, lo mortifica. Rifiutando il paradosso evangelico che riconcilia la legge e l’amore, si entra in una selva di contraddizioni: l’amore, che mira al vincolo, diventa insofferente di ogni vincolo. Una civiltà intera entra così nel tunnel disagio: l’eccesso della legge, mortificando il desiderio, produceva ieri gente nevrotica, repressa e trasgressiva, il difetto della legge espone oggi il desiderio ad ogni invasione, producendo gente a tendenza psicotica, continuamente oscillante fra il controllo e la perdita di controllo rispetto ai propri impulsi, alle relazioni, agli eventi.
L’unità dell’amore di Dio e del prossimo
La seconda istruzione che viene dal comandamento di Dio è l’unità e l’asimmetria fra il primo e il secondo comandamento. Da una parte tutta la Scrittura afferma coralmente che l’amore di Dio è inseparabile dall’amore del prossimo: l’uno è fondamento dell’altro, l’altro è frutto, verifica e approfondimento del primo.
D’altra parte la Scrittura ammonisce che l’amore di Dio non sta sullo stesso piano dell’amore per il prossimo: non si può amare nessuna creatura come si ama Dio, sarebbe idolatria! Per questo contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera Gesù, proprio per proteggere gli affetti familiari, si mostra molto severo: «chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Gesù sa della nostra fatica a tenere Dio in primo piano – Lui così discreto! – rispetto agli affetti umani – spesso così ingombranti! – e per questo dice: «d’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,53). Insomma, se si mettono gli affetti umani prima dell’amore di Dio, si perde l’uno e si perdono gli altri. Altrimenti ne vengono pretese e risentimenti, e sono lacrime e dolori.
In concreto, imputare ai genitori il proprio male, aspettarsi dal coniuge la propria felicità, proiettare su un figlio la propria riuscita, sono tutte forme di idolatria, che mortificano le persone e distruggono i legami. Al contrario, quando e quanto più gli uomini si decidono per Dio e si risolvono di fare in tutto la Sua volontà, tanto più si ritrovano in se stessi e tra di loro: «riceverete cento volte tanto» (Mt 19,29)!

L’ordine dell’amore
L’ultima cosa da annotare è che i tre amori del comandamento sono disposti secondo una precisa gerarchia: amore di Dio, del prossimo, di sé. Il messaggio è chiaro: il primato dell’amore di Dio libera l’amore di sé dalla schiavitù dell’orgoglio e dell’egoismo, aprendo l’amore del prossimo al coraggio e alla generosità. Non meraviglia allora che in una società come la nostra, che emargina l’amore di Dio e mette al centro l’amore di sé – “prenditi cura di te”, “cerca di volerti bene”, “non puoi amare gli altri se non ami te stesso” – l’amore del prossimo sia così scandalosamente calpestato.
Sì, perché quando una società intera parla d’amore in termini di autorealizzazione e benessere relazionale, di successo e soddisfazione, il risultato sarà sempre impietosamente difforme: identità deboli e narcisiste, incapaci di decidere di sé e di rispondere di altri; quindi relazioni fragili, appartenenze labili, contratti a termine.
Il cristiano terrà fermo, per il bene di tutti, il minimo e il massimo che la parola “amore” suggerisce: amore è dare la vita, non trattenerla, è dedizione e sacrificio! E senza dimenticare la giusta simmetria, perché Dio può e deve essere amato sopra ogni cosa, mentre gli altri vanno amati come se stessi, altrimenti l’amore, diventa possessivo e ossessivo, diventa dominio e dipendenza. Per intendere: quanti uomini sono servili con chi è più forte e aggressivi con chi è più debole! E quante donne annullano se stesse per amore dei figli o fanno vittime facendo le vittime!
Roberto Carelli SDB
(Fonte: Roberto Carelli – Alfabeto Famigliare)
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