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ANCORA A COME AMORE

Ovvio che ci sarebbero ancora tantissime cose da dire sull’amore. Ma per comprendere le fatiche d’oggi nel realizzare un progetto d’amore bello ed esigente come quello della famiglia, chiamata a unire e distinguere tutte le dimensioni dell’amore – amore passionale e fraterno, tenerezza nuziale e filiale, eros e agape – vi sono un paio di considerazioni che non possiamo omettere.


La riconciliazione della legge e dell’amore

Fra i capovolgimenti del nostro tempo in fatto d’amore spicca la sovversione del comandamento di Dio, che chiede di «amare Dio con tutto il cuore, l’anima, la mente e le forze, e il prossimo come se stessi» (Mc 12,30).


La prima cosa che balza all’occhio, e che il nostro tempo dimentica, è che l’amore è oggetto di comando e il senso del comando è l’amore. Come dire: «guarda, l’amore ha le sue leggi, e non provarci ad inventarle tu; però stai tranquillo, il cuore della legge è in fin dei conti l’amore»! qui di rivela un Dio sinceramente preoccupato di proteggere l’amore umano dalle forme della sua corruzione.


La dissociazione moderna fra legge e amore, invece, ha qualcosa di diabolico: apparentemente favorisce la spontaneità dell’amore, ma in realtà, rendendolo arbitrario e instabile, lo mortifica. Rifiutando il paradosso evangelico che riconcilia la legge e l’amore, si entra in una selva di contraddizioni: l’amore, che mira al vincolo, diventa insofferente di ogni vincolo. Una civiltà intera entra così nel tunnel disagio: l’eccesso della legge, mortificando il desiderio, produceva ieri gente nevrotica, repressa e trasgressiva, il difetto della legge espone oggi il desiderio ad ogni invasione, producendo gente a tendenza psicotica, continuamente oscillante fra il controllo e la perdita di controllo rispetto ai propri impulsi, alle relazioni, agli eventi.


L’unità dell’amore di Dio e del prossimo

La seconda istruzione che viene dal comandamento di Dio è l’unità e l’asimmetria fra il primo e il secondo comandamento. Da una parte tutta la Scrittura afferma coralmente che l’amore di Dio è inseparabile dall’amore del prossimo: l’uno è fondamento dell’altro, l’altro è frutto, verifica e approfondimento del primo.

D’altra parte la Scrittura ammonisce che l’amore di Dio non sta sullo stesso piano dell’amore per il prossimo: non si può amare nessuna creatura come si ama Dio, sarebbe idolatria! Per questo contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera Gesù, proprio per proteggere gli affetti familiari, si mostra molto severo: «chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Gesù sa della nostra fatica a tenere Dio in primo piano – Lui così discreto! – rispetto agli affetti umani – spesso così ingombranti! – e per questo dice: «d’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro nuora e nuora contro suocera» (Lc 12,53). Insomma, se si mettono gli affetti umani prima dell’amore di Dio, si perde l’uno e si perdono gli altri. Altrimenti ne vengono pretese e risentimenti, e sono lacrime e dolori.

In concreto, imputare ai genitori il proprio male, aspettarsi dal coniuge la propria felicità, proiettare su un figlio la propria riuscita, sono tutte forme di idolatria, che mortificano le persone e distruggono i legami. Al contrario, quando e quanto più gli uomini si decidono per Dio e si risolvono di fare in tutto la Sua volontà, tanto più si ritrovano in se stessi e tra di loro: «riceverete cento volte tanto» (Mt 19,29)!

L’ordine dell’amore

L’ultima cosa da annotare è che i tre amori del comandamento sono disposti secondo una precisa gerarchia: amore di Dio, del prossimo, di sé. Il messaggio è chiaro: il primato dell’amore di Dio libera l’amore di sé dalla schiavitù dell’orgoglio e dell’egoismo, aprendo l’amore del prossimo al coraggio e alla generosità. Non meraviglia allora che in una società come la nostra, che emargina l’amore di Dio e mette al centro l’amore di sé – “prenditi cura di te”, “cerca di volerti bene”, “non puoi amare gli altri se non ami te stesso” – l’amore del prossimo sia così scandalosamente calpestato.


Sì, perché quando una società intera parla d’amore in termini di autorealizzazione e benessere relazionale, di successo e soddisfazione, il risultato sarà sempre impietosamente difforme: identità deboli e narcisiste, incapaci di decidere di sé e di rispondere di altri; quindi relazioni fragili, appartenenze labili, contratti a termine.

Il cristiano terrà fermo, per il bene di tutti, il minimo e il massimo che la parola “amore” suggerisce: amore è dare la vita, non trattenerla, è dedizione e sacrificio! E senza dimenticare la giusta simmetria, perché Dio può e deve essere amato sopra ogni cosa, mentre gli altri vanno amati come se stessi, altrimenti l’amore, diventa possessivo e ossessivo, diventa dominio e dipendenza. Per intendere: quanti uomini sono servili con chi è più forte e aggressivi con chi è più debole! E quante donne annullano se stesse per amore dei figli o fanno vittime facendo le vittime!


Roberto Carelli SDB

(Fonte: Roberto Carelli – Alfabeto Famigliare)

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