UNA GRANDE SINFONIA DI PREGHIERA NEL GIUBILEO DELLA CHIESA – 2. “FATE ATTENZIONE A QUELLO CHE UDITE!” LA PREGHIERA E LA VOLONTÀ DI DIO
L’ideale cristiano è fare la volontà di Dio “come in cielo così in terra”! Ma immersi come siamo nelle cose e nelle parole del mondo, riconoscere e mettere in pratica la volontà di Dio richiede il lavoro del discernimento. E il discernimento lo si fa fondamentalmente nella luce della Parola. Fra le pagine evangeliche più belle sul discernimento, vi è la parabola della semina nel Vangelo di Marco. È quella comunemente chiamata parabola del “seminatore”, per mettere in evidenza l’attività di Dio; o del “seme”, per mettere in primo piano la ricettività dell’uomo; o infine della “semina”, per abbracciare sia l’opera del seminatore che la condizione del terreno su cui opera. Qui Gesù ci fa riflettere sull’importanza del nostro ascolto e della nostra collaborazione. Qui la Parola diventa il principio del discernimento, il che richiede di non accostarla in maniera solo intellettuale ma anche e ancor più pratica: è sempre vero che nelle cose di Dio più del molto sapere conta il gustare, più del capire conta il vivere, più del riconoscere il bene e il male conta fare il bene e distaccarsi dal male!
In questa parabola, è evidente il legame fra preghiera e Parola. Essa è infatti inclusa fra due raccomandazioni che riguardano la “crisi” della Parola, il fatto che la Parola di Dio è insieme buona notizia e giudizio, e il fatto che l’uomo non è sempre ben disposto ad ascoltarla “Ascoltate…Fate attenzione a quello che udite…Chi ha orecchi per intendere intenda… e se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole?”. Al centro, la cosa più drammatica, addirittura difficile da capire: “A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, perché: “guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano”. Si comprende allora che i diversi tipi di terreno raccontati dalla parabola non si riferiscono alla nostra moralità (puri e impuri, giusti e peccatori, capi o emarginati), ma proprio al nostro ascolto della Parola, dove ciò che conta non è solo sentire ma ascoltare, e ascoltare con particolare attenzione, perché la Parola porta frutto se ci fa cambiare mentalità, se rimodella il nostro modo valutare, giudicare e agire. Se questo avviene – suggerisce Gesù – si andrà di bene in meglio, altrimenti di male in peggio: “ha chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”.
In ogni caso, il messaggio di fondo della parabola è messaggio di gioia. Lo si comprende dalla conclusione, dove Gesù sottolinea la sovrabbondanza dei frutti: “un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno”. L’insegnamento della parabola, in definitiva, è che nonostante le frustrazioni e i fallimenti apparenti, il ministero di Gesù porterà certamente frutti meravigliosi. Il che vale anche per la nostra missione di discepoli imperfetti: gran parte del lavoro andrà persa, molti saranno quelli che per mille motivi non lo comprenderanno e non lo accoglieranno: e tuttavia possiamo essere certi che alla fine la nostra fatica porterà frutti, e frutti abbondanti.
Notiamo qui il realismo di Gesù. La parabola è in questo senso molto comprensibile. Abbiamo qui la normale vicenda di un contadino: egli semina senza parsimonia e, inevitabilmente, molta semenza va persa per una serie di ragioni, uccelli, rovi e terreno pietroso sono ben noti agli agricoltori e tipici delle difficoltà che devono affrontare. L’ottimismo però prevale: nessun contadino si dispera però per questa perdita di lavoro e di semenza perché c'è da aspettarsela, e, dopo tutto, può avere ancora un ottimo raccolto. Anche noi siamo chiamati ad essere molto realisti: non è ovvio essere terreno buono, non è ovvio diventare terreno buono; non è scontato aver avuto un vero incontro con Gesù e averlo riconosciuto come Signore, non è scontato che i nostri figli e figlie facciano una decisa scelta di fede. Ci va tempo, ci va una vita, una vicenda fatta di occasioni e tentazioni, di cadute e risurrezioni.
Va poi osservato – cosa importantissima nella nostra società prestazionale – che la vicenda della Parola e della preghiera è un processo di crescita: seminare, germogliare, maturare, portare frutto. Come dire: non si tratta di capire tutto e subito, o di riuscire sempre e comunque: decisivo è essere terreno buono. Anche la metafora dei quattro terreni è in fin dei conti dinamica: di volta in volta siamo ora l’uno, ora l’altro terreno, in alcune cose siamo inospitali, in altre siamo aridi, in altre agitati, in altre ancora accoglienti e fecondi.
Per chiarire il significato dei quattro terreni, seguiamo la spiegazione di Gesù: 1. Vi sono persone che ascoltano la Parola ma ne vengono privati da Satana: è la terra lungo il sentiero, dove un uccello afferra il seme prima che possa produrre; 2. Vi sono persone, che ascoltano la Parola e ne gioiscono, ma defezionano durante la tribolazioni e la persecuzione: sono il terreno roccioso, privo di radici, dove il seme non mette radici; 3. Vi sono persone che ascoltano la Parola, ma sono talmente innamorate o preoccupate del mondo che la Parola viene sopraffatta: sono il terreno dove il seme non germoglia; 4. Vi sono persone che ascoltano la Parola, la accolgono e portano frutto: sono il campo fatto di terra buona, che produce con abbondanza anche sorprendente (v. 20)
Man mano che l’anima si libera dagli ostacoli all’ascolto, l’opera del discernimento viene in primo piano. Qui la Chiesa ha elaborate tanta sapienza molto concreta. Ricordiamo alcuni punti cardinali: 1. Lo spirito buono porta a riconoscere che Gesù è il Signore e a scegliere secondo il Vangelo; 2. Lo spirito buono porta a non dividere, a non rompere la carità; 3. Lo spirito buono libera dall’orgoglio e dall’egoismo, mentre fa crescere l’umiltà e la carità, fa crescere la fede, la speranza e l’amore. Per cui: di fronte a un’ispirazione, guarda dove ti porta; 4. Lo spirito buono è fonte di gioia e di pace, ispirazione e consolazione, toglie gli ostacoli e infonde coraggio, mentre lo spirito cattivo rattrista e agita, infonde falsi ragionamenti e desolazione, esagera gli ostacoli e porta allo scoraggiamento; 5. Tener conto che nella consolazione ci guida e ci consiglia lo spirito buono, nella desolazione agisce di più lo spirito cattivo. Per cui, nella desolazione, occorre non fare cambiamenti, rimanere fermi nei propositi e nelle decisioni, e restare molto in preghiera, avere pazienza. invece, nella consolazione, muoversi! La paura non è mai spirituale: “nell’amore non c'è timore”. Inoltre, nella consolazione occorre rimanere umili, mentre nella desolazione sentirsi forti!
Per approfondire, tenere presente le quattro regole per fare una buona scelta di sant’Ignazio: 1. La prima è che l’amore che mi spinge e mi fa scegliere la tale cosa venga dall’alto, dall’amore di Dio, in modo che colui che sceglie senta per prima cosa in sé che l’amore, che più o meno ha verso la cosa che sceglie, è solo per il suo Creatore e Signore… 2. Immaginando un uomo mai visto o conosciuto a cui desidero ogni perfezione, considerare ciò che gli direi di fare e di scegliere per la maggior gloria di Dio Nostro Signore e per la maggior perfezione della sua anima, e osserverò, facendo lo stesso, la regola dettata per l’altro… 3. Considererò, come se mi trovassi in punto di morte, il comportamento che allora vorrei aver tenuto nella presente scelta, e, regolandomi secondo quello, prenderò fermamente la mia decisione; 4. Immaginando e considerando come mi troverò il giorno del giudizio penserò a come allora vorrei aver deliberato circa la cosa presente e la regola che allora vorrei aver seguito l’adotterò adesso, per potermi trovare alloca con grande piacere e gioia.
Roberto Carelli, sdb
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