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UNA GRANDE SINFONIA DI PREGHIERA NEL GIUBILEO DELLA CHIESA - TI ADORO (DELLA SERA)ANNODARE LA GIORNATA CHE SI CHIUDE

È un tempo delicato, quello della sera, preziosissimo per l’equilibrio della vita familiare ma anche di quella spirituale. Tanto per cominciare, la sera ci ricorda che ogni cosa su questa terra ha una fine, dunque anche noi. Dircelo, ogni tanto, ci fa bene, perché non siamo definitivamente installati in questo mondo, ma solo lo attraversiamo come pellegrini. Tutto questo ci insegna a non prendere troppo sul serio noi stessi e le nostre preoccupazioni. E questo anche è un gran bene.


La sera, poi, è il momento dell’intimità, in cui le famiglie si ricompongono e si avverte il bisogno di condividere, di manifestarsi il reciproco affetto. Qualcosa del genere vale anche per la vita spirituale. Per un cristiano, la sera è un momento sponsale, in cui stringersi al Signore, sentirlo nostro e sentirsi tutti suoi. Per questo la sera propizia quasi naturalmente la preghiera. Se poi questa preghiera riesce a radunare l’intera famiglia, il beneficio raddoppia, perché quella famiglia comprenderà di essere sempre più che sé stessa, dal momento che Dio vi abita discretamente in mezzo. I piccoli questo lo comprendono istintivamente, spesso meglio degli adulti.


Ben venga allora una preghiera destinata proprio alla recita serale.


Ti adoro, mio Dio,

e ti amo con tutto il cuore.

Ti ringrazio di avermi creato,

fatto cristiano e conservato in questo giorno.

Perdonami il male che oggi ho commesso

e se qualche bene ho compiuto, accettalo.

Custodiscimi nel riposo e liberami dai pericoli.

La tua grazia sia sempre con me

e con tutti i miei cari. Amen.


Circa metà del testo è identico alla preghiera gemella del mattino. Concentriamoci allora sugli elementi distintivi, che hanno a che fare proprio con il tempo serale.


Arrivare a sera in certe giornate è un po’ come toccare terra dopo un naufragio: ormai al sicuro, ci si volta indietro e si guarda quel mare in tempesta, in cui fino a poco prima si stava immersi, e che pure, in qualche modo, abbiamo attraversato. Nella pace ritrovata della sera, sorge allora spontanea la gratitudine: Ti ringrazio … di avermi conservato in questo giorno.


Giunti a sera, sono tanti i motivi per cui ringraziare: l’essere rimasti fedeli nonostante tutto, pur con qualche ammaccatura, è forse il motivo maggiore. E mentre ringraziamo Dio di averci conservato lungo il giorno che si chiude, implicitamente gli chiediamo di fare altrettanto per quello successivo, in una catena che allaccia la perseveranza di un’intera esistenza. Presi così, un giorno alla volta, anche gli impegni più gravosi diventano possibili, e si aprono vie in quelle che prima sembravano pareti inaccessibili.


Ogni giornata è un po’ come la miniatura della vita: ogni giorno ripercorriamo su scala ridotta tutte le età della vita: il mattino con le sue promesse talora eccessive (gioventù), il fervore e il travaglio di metà giornata, ma anche il torpore del primo pomeriggio (le crisi di senso della maturità, prigionieri di un presente piatto che pare interminabile); finalmente, la pace ritrovata della sera (anzianità), che prelude alla quiete della notte (richiamo simbolico alla morte). La giornata della vita, se riguardata a sera, appare sempre così breve!


Pertanto, arrivare a sera è un po’ come anticipare la nostra morte e, in un certo senso, prepararla per tempo. Ogni sera ci offre l’occasione di prendere contatto con la nostra fine, con la nostra morte, e di consegnarla a Dio come supremo atto di offerta. Comprendiamo allora la raccomandazione dei maestri spirituali, di chiudere la giornata così come si vorrebbe chiudere la propria vita.



In effetti, alla fine della vita si giudica più saggiamente sulle scelte fatte in gioventù, talora con dolorosi rimpianti. Così a sera, quando ormai le emozioni sono sopite, si può valutare in modo più pacato la giornata trascorsa, e riconoscere lucidamente dove stava il bene.


Ecco allora che alla gratitudine si associa l’onesta richiesta di perdono: Perdonami il male che oggi ho commesso e, se qualche bene ho compiuto, accettalo. Questa frase suppone evidentemente un esame di coscienza. È bene ricordarci che si tratta di una preghiera, non di un esercizio di autoanalisi psicologica. Deve pertanto conservare il tono del dialogo, così da ripercorrere insieme a Dio la giornata vissuta, riconoscendo le “visite” di Dio nelle circostanze concrete della vita.


«Si tratta di un autentico esercizio spirituale, da non confondere con una caccia al difetto, o un pietoso elenco di mancanze che, alla lunga, lascia frustrati, perché non fa che confermare la nostra mediocrità. Il punto di partenza è un altro: non tanto i peccati commessi, quanto piuttosto Dio che abbiamo offeso e ferito con i nostri peccati. È assai diverso!


Se praticato fedelmente, l’esame di coscienza consente di accedere ad una conoscenza sperimentale di sé stessi in rapporto a Dio, mette nelle condizioni di imparare dalla vita, dischiudendo all’anima le grandi leggi che regolano la vita spirituale e che essa scopre gradualmente da sé, sotto la guida dello Spirito che già la allenava a praticarle, prima ancora di conoscerle compiutamente. L’anima imparerà così a prestare attenzione alle risonanze emotive che gli avvenimenti esteriori procurano in lei (passioni, sentimenti, affetti dominanti), perché vi sono più cose che capitano nell’anima in un sol giorno, di quante essa ne percepisca attorno a sé con i propri sensi.


Soprattutto poi, l’esame di coscienza serale è una pratica mirabile per giungere a sperimentare un pentimento nuovo, anche se si tratta magari delle solite mancanze: nuovo e più vivo è il modo in cui si arriva a percepire l’amore ferito e non corrisposto del Signore» (M. Panero, Nella tenda del convegno, Àncora, Roma 2023, pp. 102-103).


È così bello, facendo il nostro esame di coscienza, non sentirsi in pari con Dio! Autentica gratitudine è riconoscere di essere sempre “in rosso” con Dio e, tuttavia, non restare preda della vergogna, ma sentirsi piuttosto interpellati ad amare più intensamente Colui che ci ha amati per primo e continua a perdonarci.


Paradossalmente, fare memoria dei nostri peccati ci mantiene umili, piccoli e, dunque, vicini a Dio. E se pure qualche occasione di bene c’è stata in quella giornata, non se ne trarrà motivo di vanto; piuttosto, come la povera vedova del Vangelo (cf. Mc 12,41-44), getteremo il nostro piccolo obolo nel tesoro dei meriti della Chiesa, senza rivendicare alcunché, contenti solo di lavorare nella vigna del Padre, perché questa è già la ricompensa più alta.


Chi si addormenta con queste disposizioni d’animo è in pace, e affida a Dio tutto il resto che lo sovrasta: Custodiscimi nel riposo e liberami dai pericoli. Ecco l’ultima richiesta del Ti adoro, che suona come un solenne atto di affidamento con cui ci sprofondiamo in Dio prima di immergerci nel sonno.


Il sonno spaventa, e non solo i bambini, perché è qualcosa di pericolosamente somigliante alla morte. Abbiamo bisogno di essere protetti nel sonno, di qualcuno che vegli su di noi quando noi non siamo in grado di badare a noi stessi. Com’è consolante contare sulla custodia fedele di Dio! Affrontare insieme a Lui il buio della notte, l’ora ultima della nostra vita, certi di cadere tra le braccia del più amabile dei padri.


Don Marco Panero, SDB

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